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Quando scelgo di leggere “un altro Simenon” cerco una garanzia, un punto fermo, un romanzo nuovo ma che allo stesso tempo conosco, perché ormai conosco Simenon, il suo stile, la sua psicologia dei personaggi, il suo dire e non dire, farti credere di aver capito ma farti chiedere perennemente se realmente hai capito... e poi arriva “Il gatto” , completamente diverso da tutti gli altri; storia e protagonisti quasi antipatici, assolutamente atipici, passaggi fastidiosi, altri che ti istigano alla pietà, o allo sdegno e alla fine pensi: “Un Simenon completamente diverso, ingannevole, infingardo e simulatore contemporaneamente, insomma in poche parole un bellissimo romanzo che non sono sicura di aver capito” A presto col prossimo Simenon
Io lo amo ogni volta di più.
“Non ho mai scritto nulla di più crudele.” Sono queste le parole usate da Simenon per descrivere, durante un’intervista, il suo romanzo appena pubblicato. E dire che il titolo , sbirciato sullo scaffale di una libreria, potrebbe fare immaginare una storia d’amore uomo/animale, quel gatto che fa buona compagnia nelle case di molti di noi, essere enigmatico e quintessenza della libertà. Ebbene, qui invece il grande Simenon lo erge a simbolo della più crudele delle costrizioni: infatti la morte del gatto del protagonista maschile costringe due anziani coniugi a vivere insieme odiandosi ferocemente ma sapendo che non saprebbero stare da soli o con altri, condannati ad una vita sotto lo stesso tetto. Lui incolpa lei del fatto e la ripagherà con la stessa moneta, uccidendole l’amato pappagallo. Quasi tutta la vicenda si svolge tra le mura di casa, in una polverosa claustrofobia, tra silenzi, messaggi lapidari scritti su bigliettini, pasti consumati alla stessa tavola, ma senza condivisione, dove ognuno si prepara il cibo che da solo si è comprato, e che viene conservato sotto chiave, insieme a piatti e pentole. Perchè si, non c'è solo l'amore capace di legare due persone per sempre, indissolubilmente. Anche l'odio può arrivare a tanto. Può essere così forte da rimanere l'unica fonte di sostentamento, così familiare da averne bisogno per autoalimentarlo, così opprimente da riempire subito e chiudere i varchi lasciati dai quali potrebbe altrimenti uscire un barlume di pietà, di tenerezza, di pace. Ci vuole energia per odiare. L'odio prosciuga, invecchia e quando ti rendi conto che la vita sta passando, trascorrendo nell'odio, ti ci aggrappi di più perché è l'unica cosa che ti rimane. A mio avviso è probabile anche una componente autobiografica: l’età anagrafica dell’autore, al momento della scrittura, coincide con l’inizio della vecchiaia, età vissuta e percepita con amarezza per il bagaglio di vissuti che trascina, carico forse eccessivamente della percezione dei propri fallimenti. Lo stesso Simenon, seppur molto attivo sessantenne, dovette ritrovarsi a fare un bilancio del proprio vissuto e delle relazioni che lo avevano caratterizzato a partire dall’infanzia: la coppia genitoriale, i suoi due matrimoni, la nuova relazione... Georges Simenon, gran romanziere, rende tutto questo molto chiaro e lampante in un romanzo sicuramente da leggere, breve ma profondo, psicologico, che cattura, di una quiete irreale carica di tensioni.